Italia-All Blacks: zona mista dal racconto degl’indignati speciali

M’indigno ergo sum. Questa è la nuova massima del villaggio globale. E a tale andazzo non poteva certo sottrarsi il rugby.  Il racconto della partita contro i campioni neozelandesi sui social media è, infatti, una gara a prendere le distanze, a indignarsi e ciò nonostante le foto di tali reportage social, dello scontento e della dignità violata, testimonino quanto meno momenti di sano divertimento.  Ecco, quindi, che dopo la sconfitta con i campioni del mondo, nel paese dei tanti campanili e degl’infiniti condomini, non può mancare la lapidazione dell’adultera Federazione colpevole di avere tradito l’amore di popolo del rugby.

Il processo si snoda attraverso un’unica accusa: L’incapacità di governare la crescita del popolo rugbysta italiano. Di fronte a cotanto crimine cosa può fare la difesa? Ricordare alla giuria il contesto dell’accusa. Per esempio:

Ricordare che l’accusata e gli accusati sono gli stessi che hanno avviato il processo di rinnovamento della nazionale e del movimento femminile con successo?

Ricordare di non rispondere dicendo che è diverso perché con le debite proporzioni è uguale ed è inutile che vi facciate il fregio rosso sul viso?

Ricordare che le squadre con le quali il più delle volte giochiamo, usufruiscono sempre e comunque di atleti di prima fascia nella scelta dello sport e che nel nostro movimento arrivano al 80% praticanti che non riuscivano in altri?

Ricordare che la media punti subita dagli AB è di circa 50 punti?

Ricordare che il rugby è veramente una quota parte bassa del panorama sportivo italiano e non certamente la principale. Situazione diametralmente opposta ai nostri competitor degli ultimi 20 anni?

Invogliare a chiedersi anche, quindi, quali veramente siano le nostre tradizioni sportive e quali siano quelle degli altri?

Invogliare a chiedersi, quindi, perché il principale quotidiano economico e quello sportivo sbaglino la foto degli All Blacks nell’articolo di presentazione?

Ricordare che forse per questo chiunque si metta alla guida del movimento, poco, molto poco, può fare anche se fosse il più indomabile dei leoni da tastiera?

Invogliare a chiedersi quanto tempo verrebbe concesso al successore di Gavazzi per riportare l’Italia in alto prima di avere egli stesso la medesima gogna mediatica?

Ricordare di informarsi prima su cosa accade a Sambuceto e a Tricase, perché quelli sono i problemi del rugby italiano e tutti i mali partono da là?

Invogliare a chiedersi come Jordie Barrett abbia imparato e dove a passare la palla in modalità basket 2.0?

Invogliare a chiedersi anche quanto tempo si dedica nel sistema sportivo italiano alle abilità motorie dei bambini, e nel rugby chi siano e con quale formazione gli allenatori dei più giovani e il perché di tali scelte da parte delle società?

Invogliare a chiedersi in quale disciplina sportiva l’Italia emerga con continuità? Chiedersi cosa abbia vinto dal 2000, ad eccezione dei mondiali di calcio, il sistema sportivo italiano e quale china abbia preso in tutti gli sport?

Invogliare a chiedersi cosa voglia dire essere forti con la testa quando invece si è primi a spiattellare il proprio giudizio sul Facebook di tendenza al minuto 81′?

Invogliare a chiedersi cosa vuol dire essere forti di “testa” quando in campo si giocavano quelle fantastiche partite che alla fine del primo tempo già si perdeva già 30-0 e si sapeva che nel secondo sarebbe stato peggio?

Invogliare a non rispondere dicendo che sono professionisti perché non c’entra nulla?

Certo sarebbe una lunga e altera difesa.  Certamente nulla rispetto alla spocchiosa e dichiarata diversità del nostro ambiente. Nulla rispetto alla retorica dei nostri valori quando decliniamo la parola sostegno come principio tecnico e metafora della vita.

Ecco perché esattamente di sostegno si tratta.

E per me la partita ancora non è finita e noi tutti abbiamo fatto un altro avanti. Nella nostra metà campo. Nella zona centrale del campo con tutti i fronti di attacco disponibili. Quindi bassi, lega, via. E la palla è già uscita.

Retorica da religione del rugby? Probabile ma quando finisce la fede, restano i valori. E questi è bene non dimenticarli. E’ facile essere All Blacks quando si vince sempre, è difficile essere Azzurri quando si perde sempre. Aiutiamoli sempre! Anzi Siempre!