L’uomo dei sogni

L’uomo dei sogni è un film con Kevin Kostner che nel 1990 ebbe la nomination all’Oscar quale miglior film. La trama de L’uomo dei sogni, in maniera molto striminzita, parla di un uomo che costruisce nella sua proprietà nell’Iowa un campo da baseball dove possano giocare anche i grandi giocatori del passato. E’ un film che parla della grande passione per il baseball del protagonista e dell’attore che lo interpreta.

La versione italiana de L’uomo dei sogni va in scena da qualche anno a Messina.

La trama racconta di un ex pilone, che decide che anche i ragazzi della propria città dovevano provare ciò che lui aveva vissuto andando a giocare fuori in altre città. I sogni dell’uomo erano più o meno questi: Tradizione, inventiva, passione, ma la domanda che si poneva era questa: Abbiamo  una bella struttura perché perderci in giro per l’Italia.

E così i sogni in una notte di mezza estate si trasformarono in pensieri sbocciando in idee e maturando in progetti. Fu tracciata insieme ad alcuni amici una linea con impressa la parola crescita figlia un motto semplice, cristiano finché si vuole, ma efficace: chi pone mano all’aratro non si volga indietro ma guardi avanti finché non muore il giorno. Si partì dai giovani e arrivarono le fusioni con le altre realtà cittadine.

Ma l’Uomo dei sogni messinese da ex pilone aveva le spalle larghe in tutti i sensi per raccogliere le pesanti eredità dei grandi presidenti del recente passato, come Pietro Briguglio, Pippo Santilano e Arturo Sciavicco,  e continuò a sognare, a elaborare idee e a sfornare progetti.

Il rugby è sport di squadra per eccellenza e l’Uomo dei sogni forte di un team affiatato sa che deve vincere la sfida più importante per far si che i ragazzi messinesi possano provare nella propria città ciò che lui ha  trovato lontano da casa. Dare dignità al fondo del campo di Sperone diventa, quindi, il target. Ma è sfida omerica, difficile, complicata, complessa e con tutto il paradigma dei sinonimi di improbabile. Finanziamenti, burocrazia, pandemia, stress diventano quindi i 4 cavalieri di un’apocalisse durata più di anno.

Alla fine, in questi giorni, l’Uomo dei sogni, ha cominciato a vedere una lucina  alla sommità di un abisso che ha seriamente rischiato di risucchiare il rugby cittadino che dentro aveva cominciato a guardarci con insistenza.

Si dice che Nostro Signore non mandi i piloni all’Inferno perché lo hanno vissuto giocando, ma si può direche l’Uomo dei sogni, Pietro Todaro, avendo fatto passare le pene dell’Inferno a più di qualche avversario in campo, per contrappasso l’Inferno lo ha ben vissuto in questo ultimo anno con il rifacimento del manto del campo Arturo Sciavicco.

Il Decameron ai tempi del Covid-19: Terra d’Abruzzo

Il Decameron di Boccaccio narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava nella città, e che a turno si raccontano delle novelle di taglio spesso umoristico.

L’idea è quella di raccontarci le nostre “passate” e i nostri ricordi in questo periodo di peste da Covid-19

Terra d’Abruzzo

Se fosse la frase di un meme suonerebbe più o meno così: Rugby is for boys, Rugby in Abruzzo is for men.

C’è un detto che recita che gli abruzzesi si piegano solo per la genziana.

Campionato under 18 2015/2016, i ragazzi arrivarono alla finale per il terzo posto della Coppa Zaffiri che valeva un barrage di accesso al campionato élite nel settembre successivo, dopo una semifinale persa per soli 5 punti di differenza nella classifica avulsa con l’Avezzano. Due partite durissime ma leali che avevano, però, lasciato una serie di infortuni.

La formula prevedeva un’altra trasferta in Abruzzo. La squadra era guidata da un consolato in panchina formato dal neozelandese Bevan Ryan e da Titti Magnisi. Il primo che cercava di trasferire tutto il pragmatismo kiwi e il secondo invece era sempre alla ricerca della soluzione migliore: uno studioso.

La settimana era passata cercando di preparare la partita, leccandosi le ferite in tutti i sensi: quelle che lasciano segni sul corpo e quelle che minano le sicurezze dello spirito.

Fin quando arrivò il sabato della partenza con un organico risicatissimo di 17 uomini e con una formazione in alto mare perché poco chiaro era chi avrebbe recuperato. Bevan Ryan restò a Messina per la comunione della figlia, Titti Magnisi accompagnò i ragazzi con il dirigente Riccardo Solano.  Titti Magnisi, il Brunel dello stretto, come lo aveva ribattezzato qualcuno per la vaga somiglianza con l’allenatore francese, pensava e meditava.

Chi lo conosce sa che Titti ha una competenza rugbistica corposa e profumata come un vino Faro, ma ci sono momenti che è più un passito di Pantelleria: pochi sorsi al momento giusto e soprattutto con le persone giuste. Quella trasferta era uno di quei momenti. Poche parole e molto silenzio.

L’arrivo al campo del Paganica fu assolutamente in linea con l’accoglienza di questa grande terra. Fair-play, assolutamente non di facciata, come consuetudine. Anzi come sempre.

D’altronde si sa il rugby comincia e finisce con un abbraccio. Il riscaldamento consolida la sensazione di precarietà, ma scioglie gli ultimi dubbi sulla formazione con Salvatore De Caro, uno dei due piloni, con una fasciatura alla gamba destra che sembrava una parte della mastodontica armatura di Enrico VIII.

L’arbitro chiama le squadre, si scende in campo.

I sostenitori di casa si fanno sentire come è ovvio. L’ambiente è caldo, i tifosi incitano la squadra, la posta è alta e si sa, chi ben comincia è a metà dell’opera. Magnisi è una maschera di concentrazione e le ultime parole sono per i due 2 mediani: due ruoli croce e delizia di ogni allenatore.

In prima linea a reggere il primo urto ci sono Salvatore De Caro, Giovanni Rizzo e Nicholas Alessi mentre Marco Mangano e Abderrahim Khayran in seconda linea vanno ad arpionare palloni in touch. Marcello Costa, Nino Idotta e Imaddin Sellak sono invece la cavalleria in terza linea. Matteo Pidalà, Fabio Musolino e Mouhafid Anasse compongono il triangolo allargato, Andrea Broccio e Francesco Micalizzi alzano la diga in mezzo al campo, Sergio La Foresta e Alessio Solano in mediana a cercare di inventare, accelerando e rallentando. Anzi soprattutto rallentando e gestendo le poche e residue energie.

Si comincia le raccomandazioni contano ormai poco, occorre placcare, spingere e avanzare. Occorre giocare.

Il Paganica parte forte. Anzi fortissimo. Dopo 10 minuti gli abruzzesi guidano 10-0 con 2 mete che scuotono le ben poche certezze dei messinesi acquisite nei conciliaboli sul pullman. Gli abruzzesi sono una gran squadra e fiutano la preda ferita continuando a macinare gioco. I messinesi sono in apnea. Ma nel momento di maggiore verve dei padroni di casa, Alessio Solano, da un pallone di recupero inventa e porta la squadra sul 10-7. La partita si riapre ma è sempre il Paganica a giocare e la Logaritmo Messina a rallentare il ritmo, cercando di sporcare il più possibile le fonti di gioco. La partita si avvia su questo leitmotiv: Il Paganica a spingere e la Logaritmo a contenere. I ragazzi sono attenti e Magnisi dalla panchina invita a mantenere la calma. Sui penaltie la Logaritmo si affida al marchio di fabbrica: Calcio in touch e gestione tranquilla della fonte del gioco.

Il primo tempo volge al termine e per la Logaritmo arriva una punizione per un tenuto. Solano va in touch, of course. Giovanni Rizzo lancia, Marco Mangano arpiona e maul. Antonio Raimondi avrebbe detto vanno, vanno, vanno, vanno. Ma è esattamente ciò che si illumina negli occhi di Titti Magnisi e Giovanni Rizzo schiaccia in meta per il 10-12 che chiude il primo tempo.

L’intervallo serve a scaricare la tensione e a ricordare quali sono tutti i nostri limiti ma anche a stimolare le nostre capacità. Dopo lo choc iniziale, la fine del primo tempo ha riportato un po’ sereno tra i messinesi cambiando l’abbrivio emotivo del match verso i siciliani.

La seconda frazione di gioco parte con i messinesi che replicano l’atteggiamento tattico del primo tempo. Il risultato non si sblocca e ovviamente la maggiore consapevolezza acquisita con il vantaggio sfuma con il sopraggiungere della fatica moltiplicando le energie degli abruzzesi.

In panchina ci sono Giuseppe De Domenico, che è al rientro più che anticipato da uno strappo al quadricipite, e Gabriele Lombardo, con una spalla che più che definire in disordine si può dire in totale confusione.

Il Paganica guadagna campo e la Logaritmo arretra rallentando sempre le giocate degli avversari e abbassando il ritmo in fase di possesso, applicando le consegne tattiche.

Ci avviciniamo a metà del secondo tempo, lì dove si fa la partita. Punizione per la Logaritmo, Solano va in touch, of course. Rizzo si porta poco fuori i 22 per battere. Pulisce il pallone, lo guarda e gli dà un altro colpo di pezza che male non fa, aspettando la mischia che arriva con il passo tipico di chi sa di avere la spia della benzina accesa ma sa anche di non avere in tasca neanche i 5 euro per l’automatico.

Il copione è quello solito, le urla, i codici e i movimenti. Rizzo batte e il salto questa volta è a secondo blocco. Mangano la porta giù, qualche rotazione, ma la maul si forma e vanno, vanno, vanno e Salvatore De Caro schiaccia in meta.

Il risultato è 10-17.

Il Paganica è un leone ferito. Gli abruzzesi salgono di intensità ma la Logaritmo ormai è in modalità tenorile all’ottava superiore.

La partita si fa durissima ma leale. Colpo su colpo. Ma leale come sempre contro le squadre abruzzesi. Allo scadere è la Logaritmo a passare con Solano per un risultato finale di 10-24.

Chief in commander Magnisi si siede in panchina sfinito. Finalmente rilassato.

E comincia una lunga litania che ancora oggi continua. Cosa hanno fatto? Cosa hanno fatto?

Già Titti cosa hanno fatto?

“È stata una delle più belle partite da quando sono allenatore, la capacità di resilienza, la voglia di fare squadra dopo una dura sconfitta sono state una molla di grande spessore morale di questi ragazzi. Vincere in Abruzzo non è da tutti. Il Paganica è stato un grandissimo avversario e la grandezza degli avversari sta non solo nella grande partita disputata ma anche e soprattutto nella grande correttezza avuta in campo. Ma cosa hanno fatto i miei ragazzi! Se ne renderanno conto tra un paio d’anni quando capiranno cosa vuol dire giocare qua e quali sono i valori rugbistici che si respirano in questa terra. Che partita! E cosa hanno fatto”.

E tu cosa hai fatto Titti?

Io? Io Niente li ho, soltanto, visti giocare.

Chapeau monsieur Titti: le Brunel dello stretto di Messina.

Italia-All Blacks: zona mista dal racconto degl’indignati speciali

M’indigno ergo sum. Questa è la nuova massima del villaggio globale. E a tale andazzo non poteva certo sottrarsi il rugby.  Il racconto della partita contro i campioni neozelandesi sui social media è, infatti, una gara a prendere le distanze, a indignarsi e ciò nonostante le foto di tali reportage social, dello scontento e della dignità violata, testimonino quanto meno momenti di sano divertimento.  Ecco, quindi, che dopo la sconfitta con i campioni del mondo, nel paese dei tanti campanili e degl’infiniti condomini, non può mancare la lapidazione dell’adultera Federazione colpevole di avere tradito l’amore di popolo del rugby.

Il processo si snoda attraverso un’unica accusa: L’incapacità di governare la crescita del popolo rugbysta italiano. Di fronte a cotanto crimine cosa può fare la difesa? Ricordare alla giuria il contesto dell’accusa. Per esempio:

Ricordare che l’accusata e gli accusati sono gli stessi che hanno avviato il processo di rinnovamento della nazionale e del movimento femminile con successo?

Ricordare di non rispondere dicendo che è diverso perché con le debite proporzioni è uguale ed è inutile che vi facciate il fregio rosso sul viso?

Ricordare che le squadre con le quali il più delle volte giochiamo, usufruiscono sempre e comunque di atleti di prima fascia nella scelta dello sport e che nel nostro movimento arrivano al 80% praticanti che non riuscivano in altri?

Ricordare che la media punti subita dagli AB è di circa 50 punti?

Ricordare che il rugby è veramente una quota parte bassa del panorama sportivo italiano e non certamente la principale. Situazione diametralmente opposta ai nostri competitor degli ultimi 20 anni?

Invogliare a chiedersi anche, quindi, quali veramente siano le nostre tradizioni sportive e quali siano quelle degli altri?

Invogliare a chiedersi, quindi, perché il principale quotidiano economico e quello sportivo sbaglino la foto degli All Blacks nell’articolo di presentazione?

Ricordare che forse per questo chiunque si metta alla guida del movimento, poco, molto poco, può fare anche se fosse il più indomabile dei leoni da tastiera?

Invogliare a chiedersi quanto tempo verrebbe concesso al successore di Gavazzi per riportare l’Italia in alto prima di avere egli stesso la medesima gogna mediatica?

Ricordare di informarsi prima su cosa accade a Sambuceto e a Tricase, perché quelli sono i problemi del rugby italiano e tutti i mali partono da là?

Invogliare a chiedersi come Jordie Barrett abbia imparato e dove a passare la palla in modalità basket 2.0?

Invogliare a chiedersi anche quanto tempo si dedica nel sistema sportivo italiano alle abilità motorie dei bambini, e nel rugby chi siano e con quale formazione gli allenatori dei più giovani e il perché di tali scelte da parte delle società?

Invogliare a chiedersi in quale disciplina sportiva l’Italia emerga con continuità? Chiedersi cosa abbia vinto dal 2000, ad eccezione dei mondiali di calcio, il sistema sportivo italiano e quale china abbia preso in tutti gli sport?

Invogliare a chiedersi cosa voglia dire essere forti con la testa quando invece si è primi a spiattellare il proprio giudizio sul Facebook di tendenza al minuto 81′?

Invogliare a chiedersi cosa vuol dire essere forti di “testa” quando in campo si giocavano quelle fantastiche partite che alla fine del primo tempo già si perdeva già 30-0 e si sapeva che nel secondo sarebbe stato peggio?

Invogliare a non rispondere dicendo che sono professionisti perché non c’entra nulla?

Certo sarebbe una lunga e altera difesa.  Certamente nulla rispetto alla spocchiosa e dichiarata diversità del nostro ambiente. Nulla rispetto alla retorica dei nostri valori quando decliniamo la parola sostegno come principio tecnico e metafora della vita.

Ecco perché esattamente di sostegno si tratta.

E per me la partita ancora non è finita e noi tutti abbiamo fatto un altro avanti. Nella nostra metà campo. Nella zona centrale del campo con tutti i fronti di attacco disponibili. Quindi bassi, lega, via. E la palla è già uscita.

Retorica da religione del rugby? Probabile ma quando finisce la fede, restano i valori. E questi è bene non dimenticarli. E’ facile essere All Blacks quando si vince sempre, è difficile essere Azzurri quando si perde sempre. Aiutiamoli sempre! Anzi Siempre!

Quegli strani incroci

Oggi è stata riconsegnata al comune di Messina l’area del vecchio inceneritore di San Raineri. Un impianto di combustione della spazzatura un ecomostro che sorgeva nella parte che dovrebbe rappresentare al meglio l’affaccio della città sullo stretto di Messina. Proprio in quella zona falcata che la leggenda vuole formata con la falce costruita da Gea e gettata sulla Terra da Crono dopo avere evirato Urano nella guerra dei Titani. Chi ha fatto rugby sa, che esattamente sotto questo ignobile distributore di veleni sorgeva il campo Arsenale. Un luogo simbolo per intere generazioni di rugbisti e facondo di mitici ricordi. Quel campo oggi è solo un ricordo. Quello stadio infatti, fu chiuso perché il terreno di gioco era contaminato dalla diossina e tuttora ancora non bonificato. Ma oggi si può dire che la causa della più brusca interruzione di attività che i rugbysti messinesi ricordano è stata eliminata. L’inceneritore che distribuiva diossina a mezza città non c’è più perché demolito e smaltito. Come nelle migliori vendette l’opera di demolizione e recupero è stata curata da un rugbista: la ditta Todaro del presidente della CLC Messina. Uno scherzo del destino? Può darsi. Ma se andiamo a guardare bene le notizie di oggi ce n’è una altrettanto importante legata al rugby e ai suoi campi: il commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico della Regione Siciliana, Maurizio Croce, ha pubblicato il bando per l’affidamento della progettazione esecutiva del primo stralcio funzionale relativo al torrente Papardo, tradotto il passo più importante per la strada di accesso al campo di Sperone. Uno strano destino destino forse ha legato le due storiche strutture del rugby cittadine. Forse il vento è cambiato. Noi in ogni caso le vele le abbiamo già orientate sul giusto abbrivio.

We can be heroes just for one day: Sante Quaranta

Sacrificio e sofferenza, eroi e coraggio. Quante volte abbiamo sentito nelle nostre cronache o parlando dei nostri atleti, dei nostri figli queste parole. toniche e roboanti. Tante o troppe. Ora vi voglio raccontare una storia semplice accaduta ieri a Fasano, la storia di uomo di sport, di un giudice di gara: Sante Quaranta. Ve la racconto perché ogni tanto occorre riflettere sul valore delle parole. Sante guida lo scuolabus, accompagna a scuola i bambini che i genitori gli affidano. Sante mentre guida viene colpito da infarto. Un dolore al petto che non ti fa pensare, nonostante tutte le guide ti dicano di mantenere la calma. Ti manca il respiro e sudi, mentre il passato con tutte le sue immagini diventa incombente, il presente pauroso e mostruoso e il futuro evanescente e perso forse in una preghiera.  Sante, con ciò che rimane del cuore in gola, avverte il dolore tra le parole gioiose dei bambini che fraternizzano sullo scuolabus. Sante rallenta, accosta il mezzo, spegne il motore e solo allora si abbandona sperando nei soccorsi. Sante non ha dato palla e uomo. Sante ha pulito da vero sportivo una terrificante ruck. Ha portato alla fine il match. Con Sacrifico, con Sofferenza, con Coraggio ha fatto la cosa giusta al momento giusto, ciò che contraddistingue i campioni. Quello che fanno gli Eroi quelli veri. 

Le dieci canzoni pop e rock che descrivono la CLC Messina rugby

Un piccolo divertissement per raccontare la nostra squadra

  1. Strange kind of woman (Deep Purple)
    Giuliana Campanella, Domenica Martinello, Flavia Gerbasi più Strange kind of woman di queste è difficile trovarne. Il settore giovanile è nelle loro mani e l’urletto alla Ian Gillan è nelle loro corde. E i bambini fortunatamente son duri d’orecch. Donne 24 carat
  2. Born to be wild (Steppenwolf)
    Siamo un po’ rudi e selvaggi è vero. Qualcuno anche di più. Ma siamo tanto cari. Tanto buoni. E che siamo così. Come dire “o naturali”
  3. What’s up? (4 Non Blondes).
    Ci informiamo di tutto. Chiediamo di tutto. Dalla politica federale ai risultati. Dalle conquiste degli amici e delle amiche. Da cosa ha fatto tizio e caio e perché. Curiosi e cuttigghiari come 2 fimmini o suli.
  4. Boys Don’t Cry. (The Cure)
    Ovviamente. Cresciuti tra i deserti rocciosi dell’Arsenale e di Sperone, i ragazzi non piangono. Sebbene  non guasterebbe qualche lacrima ogni tanto per bagnare la landa desolata di Sperone.
  5. New gold dream (81/82/83/84) (Simple Minds)
    E’ il nostro sogno: il nostro nuovo campo. E’ più o meno dagli anni ’80 che lo aspettiamo. E siamo quasi pronti. In dirittura d’arrivo. Come dire: un evergreen.
  6. Zombie (The Cramberries)
    Domenica. Ore 17.30 il terzo tempo è agli sgoccioli di birra. Sfinito più o meno. Le partite son finite. Gli amici se ne vanno. Down. E c’è chi, ancora, deve redigere i comunicati stampa.
  7. Bad Day (REM)
    Lunedì . Il Lunedì è la giornata dei dolori. Il lunedì del dirigente è la giornata del Dolore che fa rima con dottore. Lunedì il proverbio napoletano cambia da “adda passà a nuttata” a “adda a iurnata”.
  8. Just Can’t Get Enough (Depeche Mode)
    Non ne abbiamo mai abbastanza. Mai. Dicesi una volta. Mai. Nonostante tutto.  Non ci stanchiamo mai. Sempre avanzando. E per dirla come Michelangelo Bertoli “con un piede nel passato e lo sguardo fisso e aperto, nel futuro”.
  9. It’s My Life (Talk Talk)
    Che ci possiamo fare è la nostra vita! Quella che viviamo meglio. Quella che  ci godiamo inseguendo un sogno che spesso rimbalza male.
  10. Lucky Man (The Verve)
    Vedi sopra. E proprio per questo, possiamo che dire che la fortuna ci ha riservato un bel modo di passare il tempo con gli amici.

Le fiamme dell’inverno

Dall’indignato speciale
Fiamme e viltà hanno distrutto Forte San Teodoro. Le forze del male però non avanzano e la resistenza attrezza nuove difese e rinforza le trincee. Un bollettino di guerra come parlare, altrimenti, della vile azione di questa notte ai danni dei Briganti. Guerra. Sì guerra, perché l’orrore, dei giochi negati ai bambini, dei libri bruciati, dei ricordi distrutti perché nessuno possa ricordare il Bello, non necessariamente deve avvenire ad Aleppo! Anzi accade anche a pochi metri dai nostri occhi distratti. Perché ormai in pochi capiamo che la frontiera non è un confine politico da spot elettorale ma è una linea che spesso passa tra la nostra indifferenza a pochi passi da noi. Sulla frontiera, anzi al fronte, stanno da anni i Briganti. Lì dove architetti famosi hanno fatto esercizio di stile e la politica ha costruito una delle migliori passerelle per la stagione del pret a porter elettorale. Lì dove le minacce e le intimidazioni sono di casa. Lì dove le distruzioni hanno riguardato casa loro. In genere in questi casi il sostegno è immediato, scontato e direi imponente. Ma non basta. Altrimenti il rischio è quello della magnifica retorica del rugby e delle sue citazioni. Occorre fare molto di più. Occorre indignarsi! Indignarsi perché questo accadde, è accaduto e accade e fare i modo che non accadrà più. Sempre lì nello stesso posto. Lì dove non si vuole che la cultura e capacità di discernimento possano essere di casa come normale altrove. L’indignazione non è di destra né di sinistra né dei populismi vecchi e nuovi. L’indignazione è corpo dell’anima. Come ci si è indignati per Weinstein e le sue malefatte. Lì nel far west! Indigniamoci tutti qui ora! E parliamone sempre. La frontiera è lì, anzi è qui dietro l’angolo. Parliamone e non smettiamone più. Parole non chiacchiere da leoni da tastiera. Parole che raccontino emozioni e impegno. Perché dopo lo smarrimento iniziale e l’emozione non si scivoli nell’oblio e l’indifferenza travolti dalla routine distratta. Parliamone sempre con tutti non dimentichiamo! Tanto una ruck li seppellirà tutti.

La prima estate senza Arturo

La prima estate senza Il nostro presidente onorario. La prima estate senza il maestro. La prima estate senza il professore Sciavicco. La prima estate senza le sue telefonate. Già. Perché l’estate del rugby messinese è fatta di riunioni, progetti e telefonate. Ma le telefonate di Arturo erano ricche di idee e di proposte condite da infiniti ricordi che diventavano l’esempio e lo sprone per realizzarle. Ma ogni discussione si chiudeva con l’immancabile “avevu a pensari ai picciriddi”. Perché senza bambini non si fa rugby. I ragazzi erano il suo mondo e il suo orizzonte. Incontrare la Lions under 16 non era semplice perché, al di là delle competenze tecniche, le squadre del Maestro conoscevano l’ABC dello spogliatoio e tutti i comandamenti dell’essere squadra. Gli atleti riconoscevano le competenze e rispettavano la persona. Ma il Professore per molti, oltre che l’allenatore era un amico che bussava alle porte di altri amici per chiedere un lavoro per chi aveva bisogno. Mancheranno le tue telefonate, le tue richieste di notizie e la gioia di comunicarti le novità. Arturo ha fatto il rugby a Messina perché senza il suo lavoro non ci sarebbero state quelle meravigliose squadre senior che hanno ottenuto meno di quello che meritavano. Arturo Sciavicco ha insegnato il rugby e i suoi valori con l’umiltà tipica di chi comunque vuole andare avanti. E nell’estate messinese quando le ruck diventano chiacchiere mancheranno le tue aperture e le tue idee. Ma come ci hai insegnato in ogni caso bisogna andare avanti. Sempre avanzare. Ciao Professore rispetteremo le tue consegne.

La CLC Messina, i Baby Blacks, gli Azzurri under 20 e la Capitolina

Da cosa sono legate 4 squadre così diverse? È possibile intravedere una parvenza di similitudini tra universi così dissimili e lontani? Il 12 marzo di quest’anno la nostra squadra under 18 gioca una meravigliosa partita contro la Capitolina, una squadra che nel gruppo dei 1998 annovera atleti che giocheranno la loro quinta finale per il titolo italiano, perdendo 36-28 ma segnando 4 mete, noi neopromossi e con solo 2 1998 in campo. E quindi? Qualche giorno fa la nostra nazionale under 21, cioè il brutto anatroccolo del rugby nazionale e mondiale, perde contro i Baby Blacks ma segna 4 mete. Ora neanche ricordo da quanto tempo i marziani non subivano 4 mete, ma non è questo il punto. La verità è che al di là dei giudizi tagliati con l’accetta dai leoni da tastiera,  il rugby sa concedere la propria vittoria, quella della dignità e dell’impegno: l’onore delle armi. Ora i ragazzi del 98 della Capitolina disputeranno la loro quinta finale consecutiva, gli Azzurrini lotteranno per la prima volta per un posto dal quinto all’ottavo, i Baby Blacks per il titolo mondiale e noi forse faremo lo spareggio salvezza. Ma anche questo non è il punto. Questi sono universi paralleli, dimensioni che difficilmente si incontreranno con la nostra realtà. Ma noi coltiviamo sogni. E li piantamo sui piccoli successi, sulle battaglie che anche i nostri ragazzi ricorderanno. Coltivare sogni accorcia le distanze. E se nel nostro sport le certezze sono le sentenze delle campo. Una mi sento di anticiparla. Noi ci siamo e ci saremo sempre. Ogni anno con l’asticella sempre più alta. Ogni maledetta domenica per seminare sogni tra risate, delusioni, impegno, vittorie e raccogliere soddisfazioni. Siamo pronti. Buon 2017/18