Il Decameron di Boccaccio narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava nella città, e che a turno si raccontano delle novelle di taglio spesso umoristico.
L’idea è quella di raccontarci le nostre “passate” e i nostri ricordi in questo periodo di peste da Covid-19
Terra d’Abruzzo
Se fosse la frase di un meme suonerebbe più o meno così: Rugby is for boys, Rugby in Abruzzo is for men.
C’è un detto che recita che gli abruzzesi si piegano solo per la genziana.
Campionato under 18 2015/2016, i ragazzi arrivarono alla finale per il terzo posto della Coppa Zaffiri che valeva un barrage di accesso al campionato élite nel settembre successivo, dopo una semifinale persa per soli 5 punti di differenza nella classifica avulsa con l’Avezzano. Due partite durissime ma leali che avevano, però, lasciato una serie di infortuni.
La formula prevedeva un’altra trasferta in Abruzzo. La squadra era guidata da un consolato in panchina formato dal neozelandese Bevan Ryan e da Titti Magnisi. Il primo che cercava di trasferire tutto il pragmatismo kiwi e il secondo invece era sempre alla ricerca della soluzione migliore: uno studioso.
La settimana era passata cercando di preparare la partita, leccandosi le ferite in tutti i sensi: quelle che lasciano segni sul corpo e quelle che minano le sicurezze dello spirito.
Fin quando arrivò il sabato della partenza con un organico risicatissimo di 17 uomini e con una formazione in alto mare perché poco chiaro era chi avrebbe recuperato. Bevan Ryan restò a Messina per la comunione della figlia, Titti Magnisi accompagnò i ragazzi con il dirigente Riccardo Solano. Titti Magnisi, il Brunel dello stretto, come lo aveva ribattezzato qualcuno per la vaga somiglianza con l’allenatore francese, pensava e meditava.
Chi lo conosce sa che Titti ha una competenza rugbistica corposa e profumata come un vino Faro, ma ci sono momenti che è più un passito di Pantelleria: pochi sorsi al momento giusto e soprattutto con le persone giuste. Quella trasferta era uno di quei momenti. Poche parole e molto silenzio.
L’arrivo al campo del Paganica fu assolutamente in linea con l’accoglienza di questa grande terra. Fair-play, assolutamente non di facciata, come consuetudine. Anzi come sempre.
D’altronde si sa il rugby comincia e finisce con un abbraccio. Il riscaldamento consolida la sensazione di precarietà, ma scioglie gli ultimi dubbi sulla formazione con Salvatore De Caro, uno dei due piloni, con una fasciatura alla gamba destra che sembrava una parte della mastodontica armatura di Enrico VIII.
L’arbitro chiama le squadre, si scende in campo.
I sostenitori di casa si fanno sentire come è ovvio. L’ambiente è caldo, i tifosi incitano la squadra, la posta è alta e si sa, chi ben comincia è a metà dell’opera. Magnisi è una maschera di concentrazione e le ultime parole sono per i due 2 mediani: due ruoli croce e delizia di ogni allenatore.
In prima linea a reggere il primo urto ci sono Salvatore De Caro, Giovanni Rizzo e Nicholas Alessi mentre Marco Mangano e Abderrahim Khayran in seconda linea vanno ad arpionare palloni in touch. Marcello Costa, Nino Idotta e Imaddin Sellak sono invece la cavalleria in terza linea. Matteo Pidalà, Fabio Musolino e Mouhafid Anasse compongono il triangolo allargato, Andrea Broccio e Francesco Micalizzi alzano la diga in mezzo al campo, Sergio La Foresta e Alessio Solano in mediana a cercare di inventare, accelerando e rallentando. Anzi soprattutto rallentando e gestendo le poche e residue energie.
Si comincia le raccomandazioni contano ormai poco, occorre placcare, spingere e avanzare. Occorre giocare.
Il Paganica parte forte. Anzi fortissimo. Dopo 10 minuti gli abruzzesi guidano 10-0 con 2 mete che scuotono le ben poche certezze dei messinesi acquisite nei conciliaboli sul pullman. Gli abruzzesi sono una gran squadra e fiutano la preda ferita continuando a macinare gioco. I messinesi sono in apnea. Ma nel momento di maggiore verve dei padroni di casa, Alessio Solano, da un pallone di recupero inventa e porta la squadra sul 10-7. La partita si riapre ma è sempre il Paganica a giocare e la Logaritmo Messina a rallentare il ritmo, cercando di sporcare il più possibile le fonti di gioco. La partita si avvia su questo leitmotiv: Il Paganica a spingere e la Logaritmo a contenere. I ragazzi sono attenti e Magnisi dalla panchina invita a mantenere la calma. Sui penaltie la Logaritmo si affida al marchio di fabbrica: Calcio in touch e gestione tranquilla della fonte del gioco.
Il primo tempo volge al termine e per la Logaritmo arriva una punizione per un tenuto. Solano va in touch, of course. Giovanni Rizzo lancia, Marco Mangano arpiona e maul. Antonio Raimondi avrebbe detto vanno, vanno, vanno, vanno. Ma è esattamente ciò che si illumina negli occhi di Titti Magnisi e Giovanni Rizzo schiaccia in meta per il 10-12 che chiude il primo tempo.
L’intervallo serve a scaricare la tensione e a ricordare quali sono tutti i nostri limiti ma anche a stimolare le nostre capacità. Dopo lo choc iniziale, la fine del primo tempo ha riportato un po’ sereno tra i messinesi cambiando l’abbrivio emotivo del match verso i siciliani.
La seconda frazione di gioco parte con i messinesi che replicano l’atteggiamento tattico del primo tempo. Il risultato non si sblocca e ovviamente la maggiore consapevolezza acquisita con il vantaggio sfuma con il sopraggiungere della fatica moltiplicando le energie degli abruzzesi.
In panchina ci sono Giuseppe De Domenico, che è al rientro più che anticipato da uno strappo al quadricipite, e Gabriele Lombardo, con una spalla che più che definire in disordine si può dire in totale confusione.
Il Paganica guadagna campo e la Logaritmo arretra rallentando sempre le giocate degli avversari e abbassando il ritmo in fase di possesso, applicando le consegne tattiche.
Ci avviciniamo a metà del secondo tempo, lì dove si fa la partita. Punizione per la Logaritmo, Solano va in touch, of course. Rizzo si porta poco fuori i 22 per battere. Pulisce il pallone, lo guarda e gli dà un altro colpo di pezza che male non fa, aspettando la mischia che arriva con il passo tipico di chi sa di avere la spia della benzina accesa ma sa anche di non avere in tasca neanche i 5 euro per l’automatico.
Il copione è quello solito, le urla, i codici e i movimenti. Rizzo batte e il salto questa volta è a secondo blocco. Mangano la porta giù, qualche rotazione, ma la maul si forma e vanno, vanno, vanno e Salvatore De Caro schiaccia in meta.
Il risultato è 10-17.
Il Paganica è un leone ferito. Gli abruzzesi salgono di intensità ma la Logaritmo ormai è in modalità tenorile all’ottava superiore.
La partita si fa durissima ma leale. Colpo su colpo. Ma leale come sempre contro le squadre abruzzesi. Allo scadere è la Logaritmo a passare con Solano per un risultato finale di 10-24.
Chief in commander Magnisi si siede in panchina sfinito. Finalmente rilassato.
E comincia una lunga litania che ancora oggi continua. Cosa hanno fatto? Cosa hanno fatto?
Già Titti cosa hanno fatto?
“È stata una delle più belle partite da quando sono allenatore, la capacità di resilienza, la voglia di fare squadra dopo una dura sconfitta sono state una molla di grande spessore morale di questi ragazzi. Vincere in Abruzzo non è da tutti. Il Paganica è stato un grandissimo avversario e la grandezza degli avversari sta non solo nella grande partita disputata ma anche e soprattutto nella grande correttezza avuta in campo. Ma cosa hanno fatto i miei ragazzi! Se ne renderanno conto tra un paio d’anni quando capiranno cosa vuol dire giocare qua e quali sono i valori rugbistici che si respirano in questa terra. Che partita! E cosa hanno fatto”.
E tu cosa hai fatto Titti?
Io? Io Niente li ho, soltanto, visti giocare.
Chapeau monsieur Titti: le Brunel dello stretto di Messina.